Le interviste di Allinfo.it | Dialogo con Giulio Casale in uscita con Inexorable. Auspicio e metafora, simbolo possibile, invocazione

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C’è chi ama  classificarlo mentre prova a raccontarlo o ad intervistarlo. Dal canto suo  lui ama definirsi soltanto un uomo che vive le sue esperienze creative. Tanto vivere, tanto vissuto, visto, ascoltato e “provato”, per non dire “scontato” sulla sua stessa pelle senza però rimanere vittima del suo Ego che, un giorno, ha buttato fuori dal finestrino di una macchina.

Stiamo parlando  di Giulio Casale che sta per pubblicare dopo sei anni di assenza discografica “Inexorable“. Uscirà l’11 gennaio 2019 e fin da subito lo porterà in giro live per tornare a vivere una dimensione che gli è congeniale. E’ la sua vita. E’ la sua vitale energia tesa alla ricerca di un unicum, una fusione perfetta tra voci, suoni ed emozioni.

Il 23 gennaio il suo tour passerà anche per Roma con un concerto che si terrà al Teatro Arciliuto di Piazza Monte Vecchio, nel cuore della città antica. Antica quanto la filosofia che lo pervade e lo muove, giorno dopo giorno a nuova coscienza.

Cos’è Inexorable?
Direzione ostinata e contraria sempre?

Sì certo, c’è anche quello, ancora. Ma è qualcosa, questo vento inesorabile, che vorrei spirasse davvero nei nostri tempi apparentemente statici – specie a livello di proposte culturali. Quindi è insieme auspicio e metafora, simbolo possibile, invocazione. Poi è anche qualcosa che in fondo posso riconoscere proprio a me stesso: con tutte le mie fragilità non smetto, non mollo, continuo ancora: inesorabile, persino in mezzo a tanta indifferenza, o mera distrazione…

Qual è stata la scintilla che ha originato Inexorable?
Arriva dopo sei anni di?
In sei anni di assenza ti senti ancora dalla parte del torto?

E come potrei non sentirmi dalla parte sbagliata? Ogni mia idea o ideale è oggi assoluta minoranza, sia che si parli di politica sia che si parli di estetica (quindi sempre di Etica), di cosa sia bello e/o necessario. I beni superflui rendono superflua la vita: sono passati più di 40 anni da quando Pasolini ce lo disse, e siamo andati ancora più lontano, lontano.. Anche la canzone non mi pare goda di ottima salute attualmente, e io invece ancora la santifico, venero la forma-canzone.. Sono stati sei anni soprattutto di teatri bellissimi, di un mio teatro cantato.. Sono stati sei anni durissimi in cui il mio scontro ideale col mondo è arrivato ad un culmine che in parte sta alla base di queste nuove canzoni, che poi (paradossalmente o no) sono canzoni con la pretesa di cantare innanzitutto i nostri sentimenti molto più che analizzare la cosiddetta società. Ma lo spirito del tempo (lo ZeitGeist di cui anche un certo Bowie parlava spesso) mi pare attraversi ogni traccia dell’album. Ed è proprio questo a muovermi, e a commuovermi, spingendomi a scrivere e a scrivere… A ricominciare.

L’ascolto del disco ritorna una dimensione sonora immersa in una fusione di voci e suoni che sembrano formare un insieme unico. Volutamente nessuna prevalenza?

Nessuna. Anche la mia voce spesso risulta quasi inghiottita dagli arrangiamenti, così stratificati.. Perché il punto è che musiche e testi dovrebbero (almeno nella mia testa) riuscire a “dire” l’identica cosa, riuscire ad esprimere la stessa tensione.. Già nella forma dovrebbe emergere la sostanza, o il cuore, che è lo stesso. Non so se si capirà mai, ma non importa, per me è fondamentale questa unità tra suono e liriche.. Sono spietato solo con me stesso, mi censuro molto, finché non sento un equilibrio affascinante, nuovo, non retorico (la retorica è un’altra faccia della dittatura), semplice quanto può, lontano dal facile, dal banale.

La prima cosa che vuoi arrivi in chi ti ascolta dal vivo… in chi ti ritorna commenti… in chi ti intervista?
La prima cosa che “guardi” in chi ti ascolta… dal vivo… in chi ti ritorna commenti… in chi ti intervista?

L’autenticità. Il resto è già parrucca, atteggiamento, moda, opportunismo, snobismo etc etc

Ti piace raccontarti o preferisci essere colto… fra le righe?

Più la seconda di sicuro. Il genere che amo di meno in assoluto in letteratura (ma anche in musica) è l’autobiografia. Mi pare un falso d’autore, direi sempre.

Parlando di  altro… Che rapporto hai con la tua creatività?
Atto presente che vive a se stante da quello che è il tuo vissuto?
Oppure tutto è parte di tutto, di un altrove che si ascolta e ad un certo punto deve essere raccontato per non perderlo per sempre?

C’è tanto vivere, tanto vissuto, visto, ascoltato e “provato”, per non dire “scontato” sulla mia stessa pelle. Poi però la scrittura non diventa mai per me un “diario privato in pubblico”, anzi, me ne guardo bene. Pubblico solo ciò che sento, almeno potenzialmente, universale; anche quando uso la prima persona singolare, anche quando dico “io” (minuscolo) è perché mi pare di poter dire già “noi – oggi”. Come stiamo noi tutti oggi? E come mai? Questa è la domanda, il canto che cerco. E il canto contiene e sospinge la domanda più in là. Tutto il vissuto è un’occasione insomma, purché non diventi solo una speculazione…

“La tua canzone” ideale qual è ?

Quella che in tre minuti apre e chiude un mondo. Negando il nostro, facendosi carico della pena d’esserci, e aprendone un altro possibile. Dove l’aggettivo (possibile) chiarisce che non si vendono sogni e chimere all’ascoltatore. L’utopia è concreta, è fisica e corporea addirittura, oppure viceversa è di nuovo Hollywood, altra fuffa tra tante.

Cos’è che ti rende ogni volta diverso nell’incessante metamorfosi  e influisce nel tuo processo artistico. O ti affidi al caso?

C’è anche una magìa del caso, sì. Adoro il mistero (ride…) Però la coerenza mi pare sia rimanere fedeli al proprio continuo cambiamento, anziché fossilizzarsi in antiche convinzioni. Evolvere, crescere, ricercare… Quella è la base… Metamorfosi era il titolo del primo disco degli Estra, non casualmente. Poi non avrò mai la tracotanza di un Picasso che dice “Io non mi evolvo – Io sono!” No. Io invece mi evolvo, mi sto ancora cercando – altrove, altrove… Il viaggio mi appartiene in toto, non solo come metafora. Resto (sempre) io, sì, ma restare poi non è un avanzo, non è un resto algebrico, è permanere: e però permanere nel cambiamento, nella ricerca, nell’approfondimento di quegli stessi talenti che ti permisero di cominciarlo, questo stesso viaggio.

Sei stato definito “figura che rappresenta di fatto, più o meno consapevolmente, l’avanguardia di un’auspicabile nuova umanità”
: ti riconosci in questa definizione?
Se sì qual è la caratteristica principale di questa nuova umanità?

Mi piacerebbe far parte di un’avanguardia ma… al momento sono più che altro… solo! (ride…)
La nuova umanità? Mah… Applicare ovunque, fino a introiettarla biologicamente, la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo (e poi anche dell’ambiente) è tutt’ora il minimo sindacale. Si chiama fratellanza, sorellanza… Mai ottenuto questo minimo, nemmeno qui, in Europa. E allora…

Ad un certo punto…Gaber
Come nasce l’incontro con Gaber?
Pensi ti abbia illuminato la vita artistica…diversamente?
Cosa pensi di aver fatto tuo per sempre di lui?

Gaber l’ho sempre seguito… Andavo a vederlo, studiavo i suoi testi, anche mentre ascoltavo i Pixies per dire… Gaber non sarà mai compreso appieno, è troppo complesso quello che lui e Luporini hanno sviscerato e portato in scena in 30 anni di teatro. Mi ha arricchito la vita, lo sguardo stesso sull’esistenza. Sulle mie scelte. L’anticonformismo… ma è ancora poco, vedi?… Musicalmente non gli devo quasi niente (tanto più in questo disco), intellettualmente invece… Da 12 anni tra l’altro porto in giro il suo spettacolo “Polli di Allevamento”, e non mi sono ancora stancato.

Tornando alla musica… le tue origini..

Gli Estra rappresentano le tue origini musicali che, nel corso degli anni hanno subito una evoluzione su fronti diversi: letterario, teatrale, oltre che musicale.
Estensioni naturali di un bisogno d’evoluzione creativa o più bisogno di mettersi alla prova?

C’era già tutto, fin dall’inizio. Spero di stare solo sperimentando le mie poche verità… Faccio quello che posso e nient’altro, davvero, altro non saprei… C’è di sicuro una sede unica per questi tre o quattro mestieri: e questa sede è il mio corpo. Sempre più fragile.

E…


…E ditemi e ditelo che la gente non farà mai più rima con niente

di Giovanni Pirri

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