Le Interviste di Allinfo : Il Teatro degli Orrori (@teatro_orrori)
(@teatro_orrori) (@tempestadischi) #Ilteatrodegliorrori
Cercare di capirne un po’ di più di su questo loro disco è quasi un obbligo.
Ma cominciamo dall’inizio. Abbiamo chiesto a Giulio Ragno Favero, nella vita bassista, produttore, arrangiatore di aiutarci in questa presa di possesso di una nuova consapevolezza sul Teatro degli Orrori visto che anche lui ne fa parte fin dagli esordi.
Un gruppo sui generis che sembra giocare con i titoli dei propri album e quindi “dal’l’Impero delle tenebre” con “Sangue freddo” è come se fosse approdato a “Un mondo nuovo” fino al punto di diventare il “Teatro degli Orrori” che si rappresenta, a pieno titolo, nella società di oggi.
Giulio questo lavoro porta il Vostro nome: voglia di fare ancor più a cazzotti con la musica senza alcun timore?
Non ci siamo mai tirati indietro sia con i testi, sia sul palcoscenico. Di sicuro se dobbiamo urlare in faccia a qualcuno quello che abbiamo da dire non ci tiriamo indietro. E a chi ci legge come un gruppo che ha solo voglia di ergersi a maestro di qualcosa ci teniamo a rispondergli con il nostro “essere fuori luogo” visto che amiamo gridare in modo esplicito e onesto quello che il teatro pensa su determinate questioni.
In questo disco, infatti, abbiamo deciso di metterci a nudo anche come entità grazie alla formazione che ha acquisito due nuovi elementi e quindi oltre a Pierpaolo, Gionata Mirai, me e Francesco Valente l’apporto di Kole Laca (synth, rhodes – dal 2012) e di Marcello Batelli (chitarra dal 2012) ci ha permesso di affrontare una nuova ripartenza. Ecco perché ci sembrava giusto dare il nostro nome al disco.
Che poi , quale migliore nome se non quello de Il teatro degli orrori può descrivere la situazione mondiale col suo male di vivere che interessa la vita politica , economica passando per tutti gli ambiti culturali e sociali. Fingere che vada tutto bene non è il nostro modo di fare e di vedere le cose.
Ma sarà colpa dell’incubo sociale e del suo continuo entrare nella gola del serpente dove le Benzodiazepine rischiano seriamente di falsare la percezione del mondo?
Sicuramente le Benzodiazepine non aiutano a guardarci dentro. Senza tenere in conto che spostano i problemi più avanti mai migliorando la vita di nessuno (fatta eccezione per quei rari casi in cui si cerca di evitare suicidi o altro). Le Benzodiazepine rientrano tra i farmaci più venduti in tutto il mondo e l’abuso è totale.
Il vostro voler entrare dentro ai problemi reali nasce anche dalla voglia di capire se c’è un modo per superarli o è solo una occasione di denuncia?
Credo sia passato alla leggera il fatto che il nostro gruppo sia, tra virgolette, punk negli intenti. Quando eravamo ragazzini ascoltavamo i Dead Kennedys, i Black Flag tant’è che la protesta nella musica ha sempre fatto parte della nostra vita. Anche se oggi, rispetto al passato, abbondiamo di canzoni di protesta politica. Se pensi che nel disco “Dell’impero delle tenebre” cantavamo di aver perso la memoria del XXI secolo, oggi , nel nostro modo di fare musica siamo diventati, forse, meno romantici e più politici… nel fare. Quindi con questo disco, l’intento è di esercitare una forte spinta a porsi delle domande senza il bisogno di cambiare per forza il mondo. Noi del Teatro degli Orrori vogliamo continuare a essere dei megafoni anche a costo di sembrare delle creature fuori tempo massimo. Visto che il problema è che di certe questioni sembra non se ne voglia più parlare. In sintesi noi come Teatro degli orrori non vogliamo scapigliarci per conquistare i meta intellettuali di turno assai pieni di sé quando si tratta di essere una bandiera. Perché noi siamo e vogliamo continuare a essere la bandiera di noi stessi.
Nel vostro disco c’è anche una lettera aperta al Partito democratico?
La lettera, anche se scritta con tutto il sarcasmo del mondo, nasce da un dato di fatto in quanto il partito democratico è diventato ciò che non doveva essere. La sinistra, oggi, fa più cose di destra della destra stessa, senza mai rispettare certe promesse fatte. Renzi, invece ha fatto quello che diceva di voler fare rispettando le proprie posizioni .
Quando avete scritto di certe questioni avete pensato a possibili critiche?
Abbiamo ragionato secondo il nostro istinto. Una delle critiche che ci è stata mossa riguarda Lavorare stanca in cui parliamo del lavoro che ruba il tempo alla vita soprattutto in un’epoca in cui la disoccupazione è alle stelle. In realtà la disoccupazione che c’è è frutto esclusivamente del malgoverno che ha poco a che vedere con il discorso che facciamo noi. Il lavoro ruba effettivamente il tempo alle persone tant’è che oggi si vive per lavorare e senza che nessuno si prenda la briga di premiare le persone per i propri meriti.
Chi fa 10 ore in fabbrica per arrivare, a malapena, alla fine del mese sapendo che alla fine della vita lavorativa si ritroverà una pensione misera di certo non soddisfa una esigenza di vita. E con la nostra canzone vogliamo sottolineare il fatto che sarebbe davvero più bello avere tempo per se stessi e il principio base fosse “Lavorare meno lavorare tutti e ci permette di avere più tempo per noi stessi“. Io personalmente questo principio lo applicherei subito. Ma in un periodo storico in cui il progresso viene confuso con il consumo perché è il lavoro è teorizzato essere alla base del consumo ( per consumare devi avere i soldi, per produrre devi far parte di un meccanismo che stritola le persone) non credo che con la nostra canzone ci siamo sbagliati più di tanto. Di fatto il lavoro è diventato una tortura se non hai l’opportunità di sceglierlo un po’ come abbiamo deciso di fare noi.
Quanto dolo pensi ci sia dietro a questo stato di cose?
Io penso che tutti avremmo la possibilità di dare dei segnali o di provare a forzare il sistema. Ma il nostro essere incastrati nel sistema sotto tanti punti di vista non ci aiuta. Non dimentichiamoci però che lo stato, in democrazia, non è fatto dai governanti ma da chi li vota. Volendo, insieme, potremmo fermare certi meccanismi. Il problema non è partitico o governativo ma è legato all’economia…mondiale che ci impedisce di assaporare la vita costringendoci a far parte di una ruota dalla quale non si può più saltare fuori. Le soluzioni ci sono ma siamo così rincoglioniti da tutta una serie di fattori esterni alla nostra vita e ciò ci impedisce di essere lucidi. Pensa a tutta l’oggettistica che ci consente di restare in comunicazione. Abbiamo continuamente bisogno di spendere soldi in telefonate, internet per restare connessi alla rete quando il mondo senza internet rimane così com’è .
Per non parlare delle auto che ci danno l’illusione di essere al passo coi tempi. Il benessere che ci circonda è quello di altri . In noi resta un malessere che ha poco a che vedere con l’accrescimento personale, umano.
Nella vostra musica la ricerca passa anche attraverso diavolerie elettroniche … Potremmo parlare di innovazione che diventa affresco ?
Un affresco che rappresenta una società in cui si ha la paura di staccare un attimo anche per non fare niente. Non è detto che la vita debba essere piena di notizie , di rumore, di luce. Il mondo, pur avendolo modificato sulla base della nostra volontà, resta così.
Basta osservare chi guarda i concerti nei quali il live viene vissuto attraverso un vetro?
E’ assolutamente pazzesco e, come dice Stephen Hawking, le macchine prenderanno il sopravvento sugli umani che le vivono come se fossero delle protesi. Noi non abbiamo bisogno del telefono e non ci rendiamo conto che, in realtà, siamo noi un bisogno per il telefono. Hawking, vive grazie alla tecnologia e, quindi, la sua visione è più che lucida. Personalmente, nella mia visione fantascientifica del pianeta, io non mi stupirei se l’evoluzione dell’uomo passasse attraverso una macchina. Se tieni in conto che le persone non si guardano più in faccia oppure preferiscono guardare il concerto attraverso la lente di un telefono mentre dall’altra parte del mondo c’è un nostro coetaneo che non ha neanche le scarpe per camminare perché gli è stato portato via tutto non possiamo che ammettere a noi stessi che è un bel Teatro degli orrori … (sorride).
Giulio in questo disco, come di consueto ritornano i tuoi arrangiamenti. Quando ti trovi ad affrontare un nuovo album qual è la tua paura più grande?
La paura di diventare un One Dimensional man. All’inzio della stesura del nuovo disco avevo cercato di scrollarmi un po’ di dosso il triplice ruolo di musicista autore, fonico, produttore perché gli ultimi due dischi si sono rivelati pesanti da portare a termine. In più a 41 anni mi sono stufato del rock ad ogni costo. Strada facendo mi sono accorto che, grazie anche all’apporto della band, il lavoro è stato più semplice perché se si sta bene in squadra i frutti si raccolgono subito, anche in studio. L’aiuto di Kole nella gestione dell diavolerie elettroniche è stato vitale perché , man mano, che lo presentiamo e lo eseguiamo negli ambiti più diversi il disco suona sempre bene.
Intravedi un nuovo futuro per Il teatro degli Orrori?
Il futuro del teatro è legato alla musica suonata come la sappiamo suonare noi anche se non nascondo che mi piacerebbe dedicarmi anche ad altro. Sento la necessità di crescere in questo ruolo double-face.
Teatro degli Orrori è un disco nato in vicinanza? E quale è stata la chiave che vi ha fatto accendere i motori?
Il bello è che è nato in sale prove finito il tour di “A Sangue freddo”. Ricordo che la prima prova è durata 3 o 4 giorni e ha dato vita a tre pezzi che sono finiti nel disco esattamente come li abbiamo scritti. Quando ciò accade è il frutto di un incastro magico soprattutto se tieni in conto che aggiungere due elementi alla band non è proprio una passeggiata.
Quanto alla vicinanza, come band copriamo tutta la autostrada A4 e non è sempre facile incontrarsi. Alcuni pezzi sono partiti da idee a distanza come nel caso de La paura nata per volontà di Pier Paolo, altri, la maggioranza li abbiamo finiti in studio nel momento della registrazione finale tant’è che per noi l’album possiamo definirlo tranquillamente nato in vicinanza.
Ascoltando con attenzione i brani si percepiscono atmosfere evocative particolari. Vi siete lasciati ispirare da un certo tipo di pop a voi familiare?
Ennio Morricone sostiene che le combinazioni possibili tra le dodici note siano terminate. La musica secondo questa visione non fa che rigenerasi di continuo. E ci sono effettivamente dei rif che possono rifarsi ad un certo tipo di pop che viene però fuori da sé , senza premeditazione. Ad esempio in Sentimenti inconfessabili la strofa potrebbe ricordare i Blur perché la melodia è un 9/8 e non è un 4/4 mentre nella parte del ritornello abbiamo aggiunto un ottavo per andare storti. Noi andiamo dritti sul nove mentre Franz gira su 4 per cui ogni nove la batteria si gira e questo fa sembrare che ci sia sotto qualcosa di estremamente storto anche se la melodia nell’insieme appare un po’ giocosa .. in fondo parla di un funerale. Oppure in Una giornata al sole che ha la cassa dritta col charlie in levare è un po’ swingata. E’ questo il nostro modo per svegliare e creare una microtempesta che ci teniamo a definire autentica .
Qual è il vostro rapporto con il Cinema, visto che il modo di cantare e di suonare può essere tranquillamente definito cinematografico?
Mi verrebbe da dire che ci piacerebbe molto lavorare nel cinema e affrontare quel mondo perché, ad esempio, Pier Paolo dal punto di vista attoriale è molto portato e, più volte mi capita di spronarlo a seguire percorsi nell’ambito cinematografico. Personalmente sono appassionato di colonne sonore e mi piacerebbe fare musica per il cinema perché vorrebbe dire riuscire a chiudere un cerchio . Non escludo in futuro la voglia di andare in quella direzione.
I vostri registri preferiti?
Daid Lynch, Erdogan e i registi del cinema francese anni 60. E poi James Cameron (Titanic, Avatar) J.J. Abrams, Ridley Scott e il regista di District 9, Neill Blomkamp e tutti quelli che hanno permesso alla tecnologia di prendere il sopravvento rispetto alla sceneggiatura perché sono appassionato di suoni e di trattamento dell’immagine. Io penso che la tecnologia debba essere sempre al servizio dell’apparato sia uditivo che visivo. E’ l’unico modo per riuscire a creare suggestioni sempre nuove. Purtroppo al cinema ci vado di rado perché detesto il doppiaggio. Ormai sto invecchiando anche io e faccio fatica a mandare giù i film non in lingua originale e me li vedo in casa con le mie casse e con i sottotitoli.
Il Vostro tour è iniziato alla grande. Come lo avete strutturato?
Rispetto al passato abbiamo inserito un po’ più di “violenza a forte impatto sonoro” e stiamo suonando in posti più piccoli per avere un contatto maggiore con il pubblico visto che è un periodo in cui restiamo chiusi nei nostri piccoli bozzoli provando paura verso tutti e tutto. Ci piacciono i concerti in cui si suda, si canta assieme e riusciamo a cavalcare la filosofia che ci muoveva agli esordi. Quindi più date cachet più bassi per arrivare meglio nei luoghi ove sarebbe stato difficile arrivare e, quindi stupire. Quando eravamo piccoli non vedevamo l’ora di farci rapire e stupire da chi ascoltavamo.
E…
Venite ad abbracciarci, a bere una birra assieme, a farci delle domande. Venite anche ad incontrarvi anche tra di voi. Sembra diventato impossibile, a volte, incontrarsi fuori da internet. E cosa ancora più importante smettete di vedere i concerti attraverso il vetro del telefono con l’idea fissa del ricordo tecnologico. Meglio una maglietta strappata in più che una fredda foto ricordo.
di Giovanni Pirri
Rispondi