Viaggio nel “sito archeologico della cultura musicale del nostro paese”
E’ insolito l’atto di ritrovarsi ad ascoltare delle storie con la voglia di restare presenti, visti i tempi.
Ecco che per un caso fortuito della “sorte” ti ritrovi catapultato all’interno di una visita guidata nella quale ti ci ha infilato un amico e ti scopri a parlare di dischi e di memoria, di supporti e della loro conservazione avendo davanti a te soltanto le proiezioni dei ricordi magari perchè, là, dove c’era una volta una porta, oggi, c’è un tramezzo e al posto dei registratori a nastro a 16 piste trovi solo rotoli di tessuti esposti ad ogni genere di polvere e muffa. Mentre lo stabilimento vero e proprio quello nel quale si faceva innovazione, e si creavano le basi per la crescita della zona – che anni più tardi le aziende del comparto tecnologico del nostro paese chiameranno Tiburtina Valley – è stato invaso dai vestiti messi in bella mostra da manichini inevitabilmente identici.
Scopri persino che nei mitici studi di quella che , all’epoca, poteva essere considerata la più importante Etichetta discografica a livello europeo, di proprietà americana (l’intento era risarcire in qualche modo il nostro paese per le devastazioni create dalla guerra – creando tra le altre cose occupazione ) e diretta da un Ingegnere illuminato, tutto italiano, sono nati a tavolino tanti artisti e tanti altri hanno avuto il tempo, quindi, il modo e il supporto tecnico e autorale per esprimersi e diventare gli artisti che sono riconosciuti ancora come tali.
Nel mitico Studio A, il più grande d’Europa, si incideva la storia e si costruiva il futuro. Poteva suonarci una orchestra intera con più di 60 elementi e negli anni 70 frotte di artisti facevano la spola tra Roma e Milano e tra l’Estero e l’Italia. Tra i tanti performers frequentatori , anche i giovanissimi Fiacchini in arte Zero, De Gregori, Baglioni, Dalla e le scale tra un piano e l’altro, ancora là, insieme ai controsoffitti originari degli anni 80, a ben guardare, scenari – oramai non più lustri – ripresi dai video girati dalla RAI per raccogliere le testimonianze degli artisti o perchè utilizzati per generare suoni, arricchire sonorità grazie alla creazione di set di registrazione, notturni, estemporanei, differenti da quelli consentiti dagli studi canonici (asciutti di echi e riverberi naturali)
Accanto allo Studio A, le tante altri piccole grandi soglie degli studi minori (ma solo per dimensioni) descritti dalle biografie di tantissimi artisti – come, ad esempio, lo studio B nel profilo wikipedia di Renato Zero alla Voce “Artide & Antardite” – e in parte cancellate dai tramezzi figli di un radicale ed irreversibile cambiamento della destinazione d’uso degli spazi di un tempo.
Oggi gli stabilimenti della RCA di Via Sant’Alessandro 7 – perchè è dell’industria del disco che richiese ben 400 miliardi di investimento che stiamo parlando – sono infatti adibiti a ben altro, tessuti e scarpe vestono un presente diverso e quando calpesti il terreno percepisci che, l’asfalto se ci credi, è una lunga linea coperta di brividi, merito di alcuni Ciceroni ai quali non possono non scrivere il mio immenso grazie. Primo fra tutti Antonio Coni
Antonio ha saputo accendere una luce su un luogo che meriterebbe di essere considerato e protetto come “sito archeologico della cultura musicale del nostro paese” e, invece continua a dare agio ad un comparto che, in luogo come quello di Via Sant’Alessandro , non può far altro che esaltare al meglio la decadenza che gli è propria.
Capita così di veder sparire, nel disinteresse generale, il ricordo felice del bar – all’epoca fu scintilla nella nascita di nuove ed incredibili collaborazioni e vetrina delle ultime novità – tra scatole, ceste di metallo semi-vuote e stampelle buttate in terra e di assistere all’invasione di ciò che è rimasto dello stabilimento di produzione dei supporti fonografici occupato da centinaia di scatole di scarpe messe, là, in pila, chissà forse per dimenticare.
Chi crede nel valore della musica sa bene qual è la sensazione che si prova.
Oggi, proprio dando uno sguardo ai magazzini che hanno accolto la produzione di milioni di dischi, s’accende un grande dubbio collegato alla conoscenza della sorte dei MASTERS delle registrazioni che hanno contribuito a scrivere la storia.
Molti arrangiatori e/o produttori sostengono che non vi sia più traccia di molti di essi, in quanto a cavallo degli anni 2000, ovvero gli anni della chiusura definitiva pare siano stati disseminati tra la Germania ed il Messico, in quanto la RCA ad un certo punto decise di affidare la gestione dei magazzini, in out-sourcing, a società terze.
Altri invece continuano a credere che i Masters, da un certo periodo in poi, siano rimasti negli archivi delle società di edizioni di proprietà degli artisti ingaggiati dalla RCA.
Senza tentennamento alcuno, possiamo affermare che la visita agli ex stabilimenti RCA ha tutte le carte in regola per lasciare l’amaro in bocca e la cosa che ferisce di più, divenendo fonte di grande irrequietezza, è determinata dall’ascolto delle motivazioni che hanno portato l’esperienza discografica, oggi impressa a vita nella mente di pochi superstiti, sulla via fallimentare. A cominciare dalla prima grande fusione con la RICORDI che, un lustro più avanti, costrinse la proprietà RCA a dismettere, negozi, studi per ripianare debiti, restituire soldi alle banche, seppellendo per sempre i suoi tempi d’oro. Tempi nei quali l’artista aveva la possibilità trovare la propria popolarità in un arco temporale decisamente diverso, più lungo, rispetto a quello che ha a disposizione oggi e cosa ancora più importante poteva contare sull’aiuto di tanti suoi colleghi di etichetta.
Lo stesso Antonio Coni non ha problemi a raccontare aneddoti sulla nascita di molte successi nel suo ufficio grande appena 8 mq a cominciare da Celeste Nostalgia che ebbe la possibilità di evolversi rispetto al provino originario grazie alle intuizioni creative di Lucio Battisti, per poi spostare l’attenzione su Mogol e del suo essere in grado di scrivere belle canzoni (tutte storie vere, vissute, fotografate dalla memoria e trasformate in testo) soltanto quando profondamente innamorato.
Siamo più che mai convinti che sia insolito l’atto di ritrovarsi ad ascoltare delle storie con la voglia di restare presenti, visti i tempi aggiungendo però che, nel loro essere devastanti, restano pur sempre storie belle e, sopra ogni verità, vitali e vibranti, passione e rinnovato piacere per l’arte più bistrattata di tutte.
Tanto bistrattata da sognarla, diritto inviolabile, libero nel suo bisogno d’essere e di crescere fino a diventar mestiere, concreto, riconosciuto persino nelle categorie ISTAT.
Ma è dura, innanzi tutto, capire se queste storie possano mai interessare a qualcuno
di Giovanni Pirri
——–
Se hai aneddoti da condividere con noi:

Rispondi